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Per essenza debitori, il perdono ci rivela figli

22 Febbraio 2014 , Scritto da DimorareinDio Con tag #Preghiera

di Bruno Maggioni
 
La domanda “rimetti a noi i nostri debiti” suppone che in noi sia vivo il senso della colpa. Qualora mancasse, la domanda del Padre Nostro perderebbe la sua verità: stereotipo, parola rituale, non più vera domanda. Purtroppo non si tratta di una consapevolezza scontata. Il problema non è riconoscere i propri limiti o sbagli, ma avere la chiara percezione delle proprie colpe morali, responsabili, liberamente commesse: azioni che offendono Dio, non solo se stessi o gli altri.
 Questa percezione “teologica” delle proprie azioni è già dono di Dio. La Scrittura è convinta che non si misura rettamente il proprio debito, se ci si confronta solo con se stessi o con gli altri: occorre confrontarsi con la Parola di Dio. Ciò rivela che il debito (anzi “i debiti”) non è soltanto questione di precise trasgressioni della legge, che pure ci sono, ma anche delle molte omissioni. La domanda del Padre Nostro riguarda l’uomo nella sua interezza: in questione è lo slancio in avanti, verso Dio, non solo il male che si fa.
 Quanto ai “debiti”, la metafora ricorre con frequenza nel parlare di Gesù. Ciò suggerisce che per Lui tale immagine si prestava bene a ritrarre la situazione dell’uomo, per essenza debitore: di fronte a Dio, dal quale ha tutto ricevuto, senza aver nulla in cambio da ridare; di fronte agli altri, da cui pure riceviamo molte cose (a cominciare dall’esistenza!) che non si possono restituire. Su questo “ricevuto” deve concentrarsi l’attenzione. Dio non vuole di ritorno qualcosa per sé, bensì vuole si capisca che ciò che si possiede è – appunto – “ricevuto”, dono, qualcosa per cui ringraziare, soprattutto da non trattenere egoisticamente per se stessi.
 
Il mondo cadeva
Ma anche la metafora – commerciale e giuridica – del debito non basta. È in gioco qualcosa di diverso dalla semplice cancellazione di un debito materiale. Qui si tratta di un debito che è un’offesa: non tocca i beni del creditore, ma la persona. “Peccato” è rifiuto di un dono, non semplice insolvenza di un debito.
 Se l’uomo è debitore per essenza, allora la domanda del perdono è il modo giusto di stare davanti a Dio, nella preghiera e nella vita. Il mondo regge perché Dio lo perdona sempre. Racconta un’antica storia ebraica che Dio, dopo aver creato il mondo, non riusciva a farlo stare in piedi: lo metteva dritto e cadeva. Allora creò il perdono e glielo pose accanto. E il mondo stette in piedi.
 Anche la domanda del perdono è formulata alla prima persona plurale: rimetti a “noi” i “nostri” debiti. Anzitutto, perché il soggetto primario della preghiera è la comunità: il Padre Nostro è preghiera corale. E se è vero che ci sono colpe comunitarie, collettive, tuttavia ciò non deve mai relegare in secondo piano la responsabilità personale. Nel Padre Nostro è anzitutto in questione la mia e la tua responsabilità. Si dice “nostri” perché si tratta, appunto, dei miei e dei tuoi peccati.
 La preghiera del perdono è la più umile, ma è anche quella che più delle altre rischia di diventare retorica. Non così nel Padre Nostro, dove la domanda è sobria, schietta, piena di dignità. Nessuna traccia di aggettivi o avverbi che dicano umiliazione, né il suggerimento di un qualche gesto penitenziale, come battersi il petto e simili. Al Padre Nostro basta un semplice verbo: “rimetti”. Ovviamente l’imperativo non dice pretesa, piuttosto confidenza, soprattutto urgenza: quando il bisogno è impellente non c’è spazio per inutili parole, si domanda e basta. Sobrietà ammirevole e ricca, ci fa capire che siamo “figli” anche se peccatori. E che il perdono lo stiamo chiedendo a un Padre, non a un padrone.
 
(da Italia Caritas, Mensile della Caritas Italiana, Giugno 2011, p. 6)
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