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Forse, però, è vero

18 Gennaio 2012 , Scritto da Citocromo Con tag #Nuova evangelizzazione

Come succede al credente, sempre mezzo soffocato dall’acqua salmastra del dubbio spruzzatogli continuamente in bocca dall’oceano, così esiste sempre anche per l’incredulo il dubbio sulla sua incredulità, sulla reale totalità del mondo che egli ha fermamente deciso di dichiarare come il tutto. Egli non sarà mai assolutamente sicuro dell’ermetico isolamento di ciò che ha intravisto e dichiarato come il tutto, rimarrà invece sempre assillato dall’interrogativo se la fede non sia davvero la realtà, e l’unica capace di esprimerla. Sicchè, allo stesso modo in cui il credente ha la netta consapevolezza di esser continuamente minacciato dall’incredulità, che è costretto a subire come perenne tentazione, così la fede resta per l’incredulo una continua minaccia e tentazione incombente sul suo mondo apparentemente sempre chiuso. In una parola: non si sfugge al dilemma dell’essere uomini. Chi pretende di sfuggire l’incertezza della fede dovrà fare i conti con l’incertezza dell’incredulità , la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità. E’ proprio nel rifiuto che si rende visibile l’irrefutabilità della fede.
A questo punto potrà forse risultare opportuno ascoltare un racconto ebraico, riportatoci da Martin Buber, nel quale il dilemma dell’esistenza umana sopra enunciato affiora in tutta la sua evidenza. “Uno degli illuministi, uomo assi erudito che aveva sentito parlare del rabbi di Berditchev, andò a fargli visita, per disputare come il suo solito anche con lui, nell’intento di fare scempio delle retrive prove da lui apportate per dimostrare la verità della sua fede. Entrando nella stanza dello Zaddik, lo vide passeggiare innanzi e indietro con un libro in mano, immerso in profonda meditazione. Il saggio non prestò alcuna attenzione al visitatore. Finalmente si arrestò, lo guardò di sfuggita, e sbottò fuori a dire: “Chissà, forse è proprio vero”. L’erudito chiamò invano a raccolta tutto il suo orgoglio: gli tremavano le ginocchia, tanto era imponente lo Zaddik da vedere, tanto tremenda la sua sentenza da udire. Il rabbino Levi Jizchak si volse però completamente a lui, rivolgendogli in tutta calma le seguenti parole: “Figlio mio, i grandi della Torah, con i quali tu hai polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso sopra. Essi non sono stati in grado di porgerti Dio e il suo regno; ora, neppur io sono in grado di farlo. Ma pensaci, figlio mio, perché forse è vero”. L’illuminista fece appello a tutte le sue energie interiori, per ribattere; ma quel tremendo “forse”, che risuonava ripetutamente scandito ai suoi orecchi, aveva spezzato ogni sua velleità di opposizione”.

Penso che qui – nonostante la stranezza della veste esteriore – sia descritta con molta precisione la situazione dell’uomo di fronte al problema di Dio. Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo regno, nemmeno il credente a se stesso. Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l’incredulità, a essa resta sempre appiccicata addosso l’inquietudine del “forse però è vero”. Il ‘forse’ è l’ineluttabile tentazione alla quale l’uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale anche rifiutando la fede egli deve sperimentarne l’irrefutabilità.
In altri termini: tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio.
E’ la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza. E chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l’uno quanto l’altro dalla chiusura nel proprio isolazionismo, non divenga il luogo della comunicazione. Esso, infatti, impedisce ad ambedue gli interlocutori di barricarsi completamente in se stessi, portando il credente a rompere il ghiaccio col dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente; per il primo rappresenta una partecipazione al destino dell’incredulo, per il secondo una forma sotto cui la fede resta – nonostante tutto – una provocazione permanente.

(da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2005 )

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