Non bisogna parlare di Dio, bisogna viverlo

Ma come ribaltare la situazione per «non parlare di Dio, ma viverlo»? La proposta è «Mostrate Dio. Se non è vivo in noi, se non cambia niente nella nostra vita, se la nostra vita non è appassionata, magnifica, creatrice, perché gli altri dovrebbero mettersi in cerca di un Dio che non cambia niente»? […]. Se Cristo non è la nostra gioia, come potremmo convincere gli altri che può diventare la loro?».
«Non dobbiamo difendere Dio, dobbiamo viverlo […]. Noi continuiamo l’Incarnazione, dobbiamo essere il Cristo di oggi. Chiunque ci incontra deve sentirsi promosso, arricchito, rivelato a se stesso» (Simone Azzam-Boulad). [… Zundel] scriverà: «Se il cristianesimo facesse zampillare la nostra vita in bellezza, non ci sarebbe bisogno di apologetica. La miglior apologetica è la santità della vita. I cristiani autentici desiderano lasciare trasparire Cristo nella propria vita, non bloccare in se stessi il dono della grazia che è stato fatto loro. La fede non è un concetto astratto, nemmeno un’adesione ad una teoria spirituale, è l’incontro con una Persona realmente presente, anche in modo invisibile, nel cuore della storia umana».
Purtroppo «il peggiore degli ateismi è parlare di Dio senza vivere Dio, così è come parlare dell’amore senza amare».
Ecco l’idea di fondo, condivisa anche da uno dei primi seguaci del beato Charles de Foucauld: «Fate attenzione che con voi non ci sia al servizio della Chiesa un apostolo in più che parla semplicemente di Cristo. Quanti donano Cristo senza parlarne? Quanti a parlarne, senza viverlo non lo donano? Cristo è saturo di apostoli che parlano. Egli ha fame e sete di apostoli che lo vivano» (padre Michel Peyriguère).

(da C. Dalla Costa, Maurice Zundel: un mistico contemporaneo, Effatà Editrice 2008, pp. 22-23)