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Nel giardino dei paradossi

30 Novembre 2013 , Scritto da DimorareinDio Con tag #Riflessioni teologiche

Chi è un santo

di XAVIER LÈON-DUFOUR

Chi è un santo? La risposta si ha guardando vivere un santo. Bisogna però avere uno sguardo abbastanza penetrante per scoprire, dietro la scorza rugosa delle apparenze, la linfa dello Spirito Santo che circola e fermenta, anche ai nostri giorni, fra coloro che ci circondano. Parlare dei santi, significa entrare nel giardino dei paradossi del cristianesimo. Paradossi, cioè un linguaggio che, per esprimere una realtà, usa espressioni apparentemente contraddittorie, espressioni che non possono coesistere senza una riflessione supplementare. Diciamo senza esitare — per esempio all’inizio della seconda preghiera eucaristica — che «Dio solo è santo». Questa proposizione, che è vera, esclude ogni altra santità. E tuttavia, nella Lettera di Pietro è detto: Siate santi, perché io sono santo (1 Pietro, 1, 16).

 Non si tratta più di dire esclusivamente che Dio solo è santo o esclusivamente che noi siamo tutti dei santi: si tratta di dire l’uno e l’altro nello stesso tempo. Come? Per rispondere alla domanda «Chi è un santo?» è bene tener conto non solo di ciò che Dio è in se stesso, ma anche della nostra reazione di fronte al Santo, unico mezzo per rilevare l’ambiguità inerente all’incontro.

 Tra i numerosi tratti che caratterizzano questo essere straordinario, prenderò in considerazione il fatto che egli ha messo in pratica integralmente il Vangelo sotto due aspetti, che sono, mi pare, l’esperienza personale e il valore universale. Per parlare di un santo, si deve aggiungere all’esperienza personale la portata universale della sua vita.

 Il santo è prima di tutto un appello e una domanda. Per chi non arresta il suo sguardo all’uomo o all’eroe, il santo diventa parola di Dio. È un successo di Dio. Dio è riuscito, con la terra di cui siamo fatti, a plasmare un essere in cui la grazia ha sopraelevato la forza della natura. Non importa il materiale ordinario o straordinario a partire dal quale il risultato è ottenuto! Ciò che conta è lo Spirito che ha operato, di modo che il santo è per me un lembo di cielo caduto sulla terra, un raggio di luce che squarcia le tenebre di questo mondo.

 Quando ci si pone nel punto di incontro di Dio con la creatura, ciò che balza agli occhi, è la libertà creativa del santo. Il santo che si è lasciato invadere dalla rûah divina, finisce per udire il dabar, la Parola di cui i suoi contemporanei hanno bisogno. Ciò che è avvenuto nel crogiolo dell’esperienza mistica viene preservato dall’oscura magia a opera della chiarezza del verbo che dice qualcosa a qualcuno. Il santo sente la parola urgere in lui, parola che è messaggio per il presente.

 Il dialogo iniziato nel silenzio della preghiera solitaria diventa dialogo con gli uomini. Non un’azione che segue alla contemplazione, ma una contemplazione attiva e un’azione contemplativa. Il santo fa coincidere nell’unità ciò che per l’uomo comune deve obbedire alla legge della successione. Per riprendere un’immagine sviluppata magnificamente da Saint-Exupéry, quando passano le anatre selvatiche, ecco che, nello stagno dove esse starnazzano, le anatre domestiche si sentono crescere delle ali. Appunto! I santi sono le anatre selvatiche che volano ad ali spiegate e ci invitano, e nel medesimo tempo ci proteggono dall’immaginarci in teoria che è attraverso una copia servile che potremo essere ciò che essi sono.

 Dio solo è santo, cioè Amore. Ma Dio nessuno lo ha mai visto. È Gesù il volto del Padre, è Gesù che ci dice cos’è la santità. Anche qui, è opportuno riflettere a fondo e non immaginarci che la conoscenza delle parole del vangelo sia sufficiente a dire il cammino della santità. La cosa è infinitamente più complessa. Pur rispettando le differenze, si può dire che il vangelo, se non diventa richiamo di una Parola vivente, è forse lettera che uccide, che blocca nella corsa della vita. Sì, le Beatitudini ci riguardano: «Beati i poveri! Beati i perseguitati!». Sì, la prescrizione è chiara: «amate i vostri nemici». Ma se veramente le prendiamo sul serio, non riconosceremo presto che ci schiacciano e ci paralizzano? Sono impraticabili. A meno che noi non ascoltiamo lo Spirito dirci in modo nuovo la Parola.

 Sì, Dio è Padre, Dio è Amore. Ma come confessarlo in piena coscienza quando siamo schiacciati dall’ingiustizia degli uomini o dal determinismo del peccato e del male? Come, se non con la sola voce dello Spirito che soffia in noi? Il riferimento solo al vangelo non può dunque bastare. È necessaria inoltre la presenza viva e vivificante dello Spirito Santo. Grazie allo Spirito che ci è stato dato, tutto diventa appello alla libertà.

 In definitiva, per intravvedere ciò che è un santo nel suo movimento creatore, bisogna ricorrere allo Spirito Santo. È lo Spirito Santo a fare i santi, donando loro di essere ciò che devono essere. Nel senso in cui l’abbiamo capito, lo Spirito non è una trappola, ma un soffio, è l’acqua annunciata da Ezechiele: Vi aspergerò con un’acqua pura e sarete purificati (...). Vi darò un cuore nuovo (Ezechiele, 36, 25-26).

 Per concludere, cedo la parola a san Cirillo di Gerusalemme: «Perché lui chiama acqua la grazia spirituale? Perché è mediante l’acqua che tutto esiste: perché è l’acqua che fa la verzura e la vita. Dal cielo discende l’acqua delle nuvole; discende sempre uguale, ma agisce in mille modi. Una sola sorgente irriga il giardino, una sola e stessa pioggia cade sulla terra; essa diventa bianca nei gigli, rossa nella rosa, purpurea nelle violette e nei giacinti, variando all’infinito secondo le specie, diversa nel palmeto, diversa nella vigna (...). Perché non è cambiando la propria natura che la pioggia diventa altro da ciò che era, ma è adattandosi alla natura delle diverse piante che essa diventa per ciascuna di esse il bene che loro conviene. Così è dello Spirito Santo».

 Questa descrizione ci permette di cogliere meglio l’arte dello Spirito Santo, che è quella di suscitare ciò che chiamiamo carismi, o meglio l’adattamento perfetto dello Spirito a ciascuno di noi. Allora, incessantemente rigenerato dall’acqua dello Spirito, l’uomo diventa, come Dio, santo, cioè, per opera del suo Amore, eternamente nuovo.

 Ciò che caratterizza il santo, è, credo, il contrario della vecchiaia. Dio è l’Eternamente nuovo. Genera ininterrottamente il Figlio. Ebbene, il santo che si è perfettamente adattato a una determinata situazione, a un mondo che era quello che era, ci invita non a fare lavori di storici, di archeologi, a risuscitare reliquie, o a cadere nella trappola di una contemplazione astratta; bensì a rinnovarci di continuo, ad adattarci di continuo al mondo nel quale viviamo. L’autentica esperienza del santo, quella alla quale siamo invitati, quella alla quale ognuno di noi è chiamato, è di entrare nel segreto di Dio e, penetrati dallo Spirito divino, di poter dire allora al mondo la parola di cui questo mondo ha bisogno, al mio posto, nella mia piccola misura, ma a condizione che sia la mia misura, e che sia me stesso, trasformato allora dall’acqua dello Spirito.

(©L'Osservatore Romano 1° dicembre 2013)

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