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Quando bussano le emozioni

23 Agosto 2014 , Scritto da DimorareinDio Con tag #Varie

Nella liturgia

di ANTONELLA MENEGHETTI

La liturgia ha l’ardire di proporsi come il luogo del rapporto costitutivo della pienezza dell’umano e del cristiano, di garantire il cammino verso tale meta e di farlo in quanto azione della Chiesa. La liturgia è in grado di coinvolgere l’intera persona dei celebranti nella loro percezione, nella loro consapevolezza, nel loro agire e nella loro ricchezza emotiva. Compie questa operazione con le sfumature della sensibilità culturale in cui si incarna e mette in azione la sua esperienza del mistero nelle strutture rituali che la tradizione le consegna.

 Tra i linguaggi della fede che la tradizione pratica da sempre quello liturgico è spazio singolare, distinto da tutti gli altri. Pur essendo una fonte di comunicazione della fede, non tende primariamente a far approfondire l’atto di fede, a far riflettere, a insegnare qualcosa su Dio, ma a farlo incontrare, a porre in relazione con lui, creando tutte le condizioni perché ciò avvenga. Lo scopo ultimo di questa forma di comunicazione della fede comprende la relazione con Qualcuno di conosciuto, desiderato, amato. Tende, quindi, attraverso un complesso sistema simbolico, a creare ambiti di esperienza allo scopo ultimo di attrarre verso l’incontro coinvolgente e impegnativo con il mistero di Cristo. Questo incontro ripetuto e gratuito mira a forgiare nei partecipanti degli atteggiamenti che trasformano, formano l’immagine di Cristo, secondo la sua piena maturità. Tende a condurre verso la pienezza della vita nello Spirito. Un processo, questo, mai perfettamente concluso, eppure gradualmente capace di condurre verso la libertà.

 L’attenzione particolare che la recente ricerca in campo liturgico dà alla totalità della persona coinvolta nell’incontro con il mistero attesta l’importanza di questa via e la risposta equilibrata a una sfida tipicamente moderna che riguarda l’esaltazione del corpo, della sensibilità, dell’emozione in contesto di crisi della ragione e della soggettività. La via somatica, la via estetica legata alla sensibilità è, infatti, quella che caratterizza maggiormente la forma di trasmissione della fede che chiamiamo liturgia.

 Essa è forse quella più capace di permettere al soggetto un vero cambiamento. Ha quindi una caratteristica tipicamente educativa. Il rito, pur invocando un rapporto stretto con la quotidianità (liturgia-vita) necessita di una differenziazione da essa, una interruzione, l’apertura di un varco oltre il previsto, oltre il saputo, il dovuto, il già detto, il feriale, muovendosi nello spazio e nel tempo con regole proprie. La rottura dell’identico, dell’uguale, stacca il soggetto da un’esperienza quotidiana e gli apre uno squarcio che dà ragione dell’insoddisfazione percepita e crea le condizioni di attesa, indispensabili ad accogliere la rivelazione del mistero.

 L’emozione appartiene alle condizioni che dispongono all’accoglienza della grazia sacramentale. Non basta che nella celebra zione siano garantiti gli elementi essenziali minimali perché il sacramento si compia, ma occorre comprendere questo luogo d’incontro come l’ambiente in cui il soggetto è affettivamente coinvolto nell’azione, non costretto, dove la sua libertà si apre e matura nel dono di una relazione riconosciuta e accolta. Poiché risponde a un ordo, ossia a un programma prestabilito, il rito non è in balìa delle variazioni umorali dei singoli. Al contrario, protegge ed educa l’emotività del celebrante perché lo aiuta a decentrarsi e farsi disponibile a ciò che lo precede e che gli viene attestato (e a collocarsi) in una posizione che è definita dall’iniziativa di Dio e dal nostro corrispondere a essa. Dentro questo quadro l’emotività e i sentimenti vengono non solo suscitati, ma anche educati e orientati in modo che non scadano in forme di autocelebrazione.

 Il rito, se è partecipato dal di dentro, non osservato come da spettatore giudicante, coinvolge con forza persuasiva, con energia trasformante, diventa quindi “efficace”. Esso è terribilmente performativo se lo si lascia agire; trasforma, educa, modifica abiti e decisioni, matura. Negargli quest’efficacia è non riconoscergli il valore straordinario della sua sacralità, è indebolire e vanificare la fede dei credenti che lo vivono; è quindi renderlo assurdo, ridicolo, fatto di gesti buffi e banali. Così infatti è visto da chi assiste e non partecipa. La vera trasformazione avviene dentro a un programma rituale. In questa esecuzione ripetitiva e comunitaria (che implica il legame con il mistero nell’evento ricordato), la realtà del soggetto, la sua esperienza religiosa è provocata a modificarsi, a trasformarsi. Proprio questa esecuzione rituale lo provoca (lo attrae verso) a  un coinvolgimento performativo totale e, quindi, anche emotivo. Questa adesione emotiva è apertura indispensabile al bisogno di senso, altrimenti il rito è addestramento o imposizione.

(©L'Osservatore Romano 24 agosto 2014)

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