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Immaginare Dio nella postmodernità

22 Gennaio 2012 , Scritto da Citocromo Con tag #Riflessioni teologiche

«tra il pluralismo delle interpretazioni di vita, la stanchezza apatica dinanzi alle responsabilità in ogni ambito del vivere, l'assenza di Dio e, insieme, un ambiguo ritorno del sacro e, infine, la visione esistenziale derivante dalla tecnica e dalla globalizzazione, la fede cristiana che invita a una relazione con Dio presentandola come fondante e assoluta, nel tentativo di fare appello alla libertà e responsabilità della persona per inaugurare un nuovo modo di pensare e vivere la vita, non riesce ad avere lo spazio per esprimere al meglio tutte le potenzialità di cui è portatrice» (49)

«Anche coloro che appaiono disaffezionati nei confronti della fede cristiana e dichiarano una qualche forma di ateismo, in realtà hanno maturato nel loro campo interiore un'immagine di Dio, magari proprio quella in virtù della quale hanno scelto di prendere le distanze dalla fede o in base alla quale la percepiscono come una proposta senza senso per la loro realtà» (78)

«ogni uomo e ogni comunità credente hanno continuamente bisogno di purificare, rivedere e convertire la loro immagine di Dio nell'umile consapevolezza che Dio è sempre Colui che si svela e che insieme ci supera; dall'altra, sarà necessario lavorare con ogni mezzo teologico e pastorale, per una effettiva guarigione dell'immagine di Dio, laddove essa si presenta offuscata da residui umani o presentazioni parziali e inopportune che ne oscurano la bellezza» (80)

«Nel chiaroscuro enigmatico della vicenda di Gesù di Nazareth, Dio appare come il Dio onnipotente e creatore di tutte le cose che, contemporaneamente, "scende con noi nell'afflizione, ha il volto insanguinato e combatte, fino all'ultimo, una battaglia che potrebbe anche perdere" (D. Garota). È un Dio che non pianifica la vita dell'uomo svuotando l'avventura dell'esistere dalla possibilità di altri percorsi e, proprio per questa sua attenzione alla libertà umana, ammette anche il dolore, la sofferenza e l'esperienza del limite. Rifiuta l'ambivalenza della violenza […] facendosi umile e povero e scegliendo l'atteggiamento di un viandante che vuole solo indicare la via e precederci in essa, senza ricatto, coercizione e moralismo. Non si appella al suo "essere Dio" se non per suscitare nell'uomo il desiderio amabile di una vita riuscita e di una felicità senza confini e non si lancia in anatemi e minacce ma, al contrario, piange il dispiacere di ogni Gerusalemme che uccide i profeti e non ne ascolta la voce […] il volto di Gesù di Nazareth ci mostra un Dio che ha a cuore la storia dell'uomo e le sorti del suo esistere. Un Dio dal tratto signorile e ospitale che diventa grembo per l'espressione di ogni uomo e culla per la sua continua creazione» (109)

«emerge il bisogno di un cristianesimo che provochi, che scuota, che rompa la sordità del torpore, che riaccenda quei filtri critici che gli stili di vita odierna e la cultura dei mass-media continuano a spegnere; un cristianesimo capace di far germogliare dentro il vissuto dell'uomo e delle comunità cristiane, della cultura e della società, una feconda crisi da cui possano nuovamente sorgere delle domande. Emerge dunque la necessità di un cristianesimo che appaia sulla scena del camminare odierno, come un ospite "leggero", capace di suscitare nuovi "perché", di mettere in crisi le strutture di pensiero e di mentalità già assodate nella cultura e negli stili di vita, di allargare l'orizzonte in cui l'uomo pensa la propria esistenza e il proprio stare al mondo; occorre perciò una pre-evangelizzazione capace di risvegliare il cuore, riaccendere i desideri, allargare gli orizzonti esistenziali delle possibilità, riportare l'uomo al suo io più autentico e sorprenderlo» (144)

(da Francesco Cosentino, IMMAGINARE DIO. Provocazioni postmoderne al cristianesimo, Cittadella, 2010)

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