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Conversione all'amore riconoscente (2)

14 Gennaio 2012 , Scritto da Citocromo Con tag #Riflessioni teologiche

(seguita)

Inversamente, per s. Paolo il peccato più grave, radice di tutti gli altri, è la mancanza di gratitudine. […] Con un vigore tremendo, Paolo dimostra che, a causa della mancanza di gratitudine, gli uomini si sono pervertiti in maniera spaventosa. In Rm 1,21 ss. Paolo dice: «Essi sono dunque imperdonabili, perché pur conoscendo Dio non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come Dio». Per Paolo, dare gloria a Dio e rendere grazie a Dio sono due espressioni equivalenti. Effettivamente non possiamo dare gloria a Dio se non rendendogli grazie; se pretendiamo di glorificare Dio in altra maniera siamo degli illusi: il solo modo di glorificare Dio consiste nel riconoscere che Egli dà tutto con un amore generosissimo, e che noi riceviamo continuamente i suoi doni. Quindi si glorifica Dio con l’amore riconoscente. Secondo Paolo, gli uomini sono imperdonabili perché conoscendo Dio, non gli hanno reso grazie come a Dio. Di conseguenza tutta la vita umana si è pervertita. Non c’è più saggezza, c’è la perversione dell’intelligenza, l’idolatria della materia, le ideologie che sostituiscono la relazione personale e filiale con Dio. Non c’è più moralità: la perversione delle relazioni sessuali, uomini e donne, e di tutte le relazioni sociali. S. Paolo presenta queste perversioni come la conseguenza della mancanza di gratitudine. «Per questo Dio li ha abbandonati all’impurità, secondo i desideri del loro cuore» (Rm 1,24); «per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami» (1,26): non si trovano in relazione normale con Dio e tutto va male. Ci dobbiamo perciò chiedere seriamente se viviamo veramente nel rendimento di grazie, se tutto ci è occasione di riconoscere Dio e il suo amore e di ringraziarlo. In ogni celebrazione eucaristica diciamo nel Prefazio che è giusto rendere grazie sempre e ovunque, che è doveroso. Allo stesso tempo è molto proficuo, non è soltanto giusto ma è anche salutare, fonte di salvezza: ci mette nella gioia, nella pace, nell’amore. Tutto ci dovrebbe essere occasione di riconoscere l’amore di Dio. È vero che in molte circostanze è necessario fare uno sforzo per poter discernere la grazia che Dio ci offre; però questo sforzo è importante ed ha la garanzia del successo. Se siamo rinchiusi in noi stessi, sempre alla ricerca del nostro interesse personale e del nostro successo, della soddisfazione dei nostri bisogni affettivi e dei bisogni di attività, di dominare, eccetera, allora ci lamentiamo, non rendiamo grazie. Anche se siamo in cerca di una nostra perfezione in maniera egocentrica, pensando di prendere la via della santità, in realtà soccombiamo ad un’altra forma di egoismo, meno vistoso, ma non meno nocivo; anche in questo caso, siamo sempre insoddisfatti, non viviamo nell’amore riconoscente. Dio aspetta l’amore riconoscente proprio per poter mettere il colmo alla sua bontà, perché è la riconoscenza che condiziona gli ulteriori doni di Dio. Se un’anima non è riconoscente, Dio non può dare tutto ciò che vorrebbe dare, perché la relazione di amore non si è stabilita in modo corretto: anche quando la persona è molto generosa, se non vive nella riconoscenza, il Signore non può comunicarle ciò che vorrebbe.
[…] Paolo insiste molto sulle relazioni tra i missionari e i fedeli, però dobbiamo constatare che le relazioni non sono bilaterali – missionari da una parte, fedeli dall’altra parte –, ma sempre trilaterali, cioè relazioni in Dio e in Cristo tra i missionari e i fedeli. E la relazione basilare è quella dell’amore riconoscente verso Dio. Paolo subito dopo il saluto, dice: «Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere continuamente, memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo». Si possono prendere da questi versetti le espressioni: «impegno nella fede», «operosità nella carità», «sopportazione nella speranza», e dire che Paolo fa l’elogio dei cristiani. Però non è vero. Paolo ringrazia Dio per i doni di Dio tutte queste virtù, che infatti sono le virtù teologali: la fede, la carità e la speranza, in questo ordine (nel N.T. questo è il testo più antico che parla delle tre virtù teologali). Le virtù teologali non sono il risultato di uno sforzo umano, ma doni meravigliosi di Dio che ci mettono nella vita filiale e perciò sono motivo di amore riconoscente verso Dio da parte dei missionari. Questo amore riconoscente costituisce un legame molto più profondo di un semplice elogio. I tessalonicesi, leggendo questo, sono invitati a ringraziare anche loro Dio per le loro virtù teologali, da considerare non come meriti loro, ma come doni di Dio.

(continua)

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