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Nella bottega di Giuseppe

19 Marzo 2012 , Scritto da Citocromo Con tag #Riflessioni teologiche

Fede, amore, speranza: sono i cardini della vita di Giuseppe, come lo sono di ogni vita cristiana. La dedizione di Giuseppe risulta da questo intrecciarsi di amore fedele, di fede amorosa, di speranza fiduciosa. La sua festa è dunque un'ottima occasione per rinnovare il nostro impegno di fedeltà alla vocazione di cristiani, che il Signore ha concesso a ognuno di noi.

Quando si desidera sinceramente vivere di fede, di amore e di speranza, rinnovare il proprio impegno non è come riprendere una cosa lasciata in disuso. Quando c'è fede, amore e speranza, rinnovarsi significa — nonostante gli errori personali, le cadute, le debolezze — voler restare nelle mani di Dio, confermare un cammino di fedeltà. Rinnovare l'impegno — ripeto — è rinnovare la fedeltà a quanto il Signore vuole da noi: che amiamo con i fatti.

L'amore ha necessariamente le sue manifestazioni caratteristiche. A volte si parla dell'amore come se fosse un impulso verso la propria soddisfazione o una semplice risorsa per completare egoisticamente la propria personalità. Ma non è così: l'amore vero è un uscire da se stessi, è un darsi. L'amore porta con sé la gioia, ma è una gioia con le radici a forma di croce. Finché siamo sulla terra, finché non è raggiunta la pienezza della vita futura, non vi può essere amore vero senza esperienza di sacrificio, di dolore. Un dolore che si gusta, che è amabile, che è fonte di intimo gaudio; ciò nondimeno è un dolore reale, perché si tratta di vincere il proprio egoismo e di prendere l'Amore come regola di tutte e singole le nostre azioni.

Le opere dell'Amore sono sempre grandi, benché si tratti di cose in apparenza piccole. Dio si è avvicinato a noi, creature povere, e ci ha detto che ci ama: Le mie delizie sono tra i figli degli uomini (Pro 8, 31). Il Signore ci fa conoscere che tutto ha importanza: sia le azioni che ai nostri occhi appaiono grandi, sia quelle che invece giudichiamo di poco valore. Nulla va perduto. Nessun uomo è disprezzato da Dio. Ognuno è chiamato a partecipare al regno dei Cieli per mezzo del compimento della propria vocazione: nel suo focolare, nella sua professione o mestiere, negli obblighi corrispondenti al proprio stato, nel compimento dei doveri civili, nell'esercizio dei propri diritti.

È quanto ci insegna la vita di san Giuseppe: semplice, normale, comune, fatta di anni di lavoro uguale, di giorni che si susseguono con apparente monotonia. Ho pensato tutto ciò molte volte meditando la figura di Giuseppe, ed è questa una delle ragioni della mia speciale devozione per lui.

Quando Sua Santità Giovanni XXIII annunziò, nel discorso di chiusura della prima sessione del Concilio Vaticano II, che nel canone della Messa sarebbe stato introdotto il nome di Giuseppe, un'alta personalità ecclesiastica si affrettò a telefonarmi per dirmi: « Rallegramenti! A quell'annunzio ho pensato subito a lei, alla gioia che ne avrebbe avuto ». Ed era così, perché nell'assemblea conciliare, che rappresenta la Chiesa intera riunita nello Spirito Santo, si proclamava l'immenso valore soprannaturale della vita di Giuseppe, il valore di una vita semplice di lavoro vissuta alla presenza di Dio in perfetto compimento della divina volontà. [...]

La fede e la vocazione cristiana impregnano non una parte, ma tutta la nostra esistenza. I rapporti con Dio sono necessariamente rapporti di dedizione e assumono un senso di totalità. L'atteggiamento dell'uomo di fede è di guardare alla vita, in tutte le sue dimensioni, con una prospettiva nuova: quella che ci è data da Dio.

Voi che oggi celebrate con me la festa di san Giuseppe, siete persone dedite al lavoro in varie attività professionali, formate vari focolari e appartenete a diverse nazioni, razze e lingue. Vi siete educati nelle aule universitarie o nelle fabbriche, avete esercitato per anni la vostra professione, avete intessuto rapporti di lavoro e di amicizia con i vostri compagni, avete partecipato alla soluzione dei problemi collettivi delle vostre imprese e della vostra società.

Ebbene, vi ricordo ancora una volta che tutto ciò non è estraneo ai piani divini. La vostra vocazione umana è parte importante della vostra vocazione divina. Ecco il motivo per cui dovete santificarvi — collaborando al tempo stesso alla santificazione degli altri — santificando precisamente il vostro lavoro e il vostro ambiente, e cioè la professione o il mestiere che riempie i vostri giorni, che dà una fisionomia peculiare alla vostra personalità umana, che è il vostro modo di essere presenti nel mondo; e, assieme al lavoro, il focolare, la vostra famiglia e, infine, la nazione ove siete nati e che amate. [...]

Giuseppe è stato, nell'ordine naturale, maestro di Gesù: ha avuto con Lui rapporti quotidiani delicati e affettuosi, e se n'è preso cura con lieta abnegazione. Tutto ciò non è forse un buon motivo per considerare questo uomo giusto, questo santo Patriarca, in cui culmina la fede dell'Antica Alleanza, come Maestro di vita interiore? La vita interiore non è altro che il rapporto assiduo e intimo con Cristo, allo scopo di identificarci con Lui. E Giuseppe saprà dirci molte cose di Gesù. Pertanto, non tralasciate mai di frequentarlo: Andate da Giuseppe, raccomanda la tradizione cristiana con una frase dell'Antico Testamento (Gn 41, 55).

Maestro di vita interiore, lavoratore impegnato nel dovere quotidiano, servitore fedele di Dio in continuo rapporto con Gesù: questo è Giuseppe. Andate da Giuseppe. Da Giuseppe il cristiano impara che cosa significa essere di Dio ed essere pienamente inserito tra gli uomini, santificando il mondo. Frequentate Giuseppe e incontrerete Gesù. Frequentate Giuseppe e incontrerete Maria, che riempì sempre di pace la bottega di Nazaret.

(da Josemaria Escrivà de Balaguer, E' Gesù che passa, cap. 5, n. 43, 44, 46, 56)

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